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(Nuova) Mitologia quotidiana

(Nuova) Mitologia quotidiana

Ci vogliono gli strumenti concreti capaci di trasformare l’aura primordiale che ci accompagna dalla notte dei tempi in rischio affrontabile, controllabile, persino redditizio. Così entra in scena l’assicuratore e alle domande poste per limitare i possibili danni futuri si intreccia quella spinta inevitabile – umana, umanissima- ad aggrapparsi a ruoli ed oggetti, che d’un tratto superano i confini solo oggettivi della loro funzione, per diventare miti.

 

Il seguente articolo di Anna Fasoli è stato inviato a tutti i soci UEA nella newsletter di luglio 2013.

 

 

(Nuova) Mitologia quotidiana

Altro che Ulisse, Achille, Penelope o Enea. In soffitta anche Superman, l’Uomo Ragno e Batman. Oggi la mitologia entra nel quotidiano. E lo fa passando per la porta più grande: quella della paura. Lo so, mi occupo di assicurazioni, non di scienze psicologiche o sociologiche, eppure mai come in questo periodo, mi sono allenata a “riconoscere”, accanto ai clienti, privati o amministratori d’impresa, che siedono di fronte a me per stipulare un contratto, sia una più semplice RC auto o una Polizza Infortunio, una TCM, nel dialogo, questa presenza, invisibile quanto persistente: l’ombra dell’incertezza. E certo ci vuole la razionalità a dominarla, ci vogliono gli strumenti concreti capaci di trasformare l’aura primordiale che ci accompagna dalla notte dei tempi (e che affonda le radici nelle fiabe, che ascoltavamo, atterriti e affascinati, da bambini) in rischio affrontabile, controllabile, persino redditizio. Così entra in scena l’assicuratore e alle domande poste per limitare i possibili danni futuri si intreccia quella spinta inevitabile – umana, umanissima- ad aggrapparsi a ruoli ed oggetti, che d’un tratto superano i confini solo oggettivi della loro funzione, per diventare miti. Insomma la polizza entra nell’immaginario collettivo e si ammanta di una protezione da scudo “magico” degno di Star Trek o Guerre Stellari. Il problema è che noi non siamo il Capitano Spock…


Emozioni e interessi (economici)
Al di là della metafora avventurosa, il tema è dei più delicati. Non si può oggi credere di lavorare in un qualsiasi settore che abbia a che fare con il denaro senza confrontarsi con il tema dell’incertezza, che diventa paura, e sfocia persino nel terrore. Le conseguenze, infatti, accadono nel concreto, ogni giorno. Il nostro settore se ne trova profondamente coinvolto. Sia perché l’incertezza costituisce il quid fondante del business assicurativo, sia perché ci si avvicina inevitabilmente al nodo scottante che ha scatenato la crisi economica attuale, di cui non si vede ancora la via d’uscita. Quanto al primo punto, conosciamo bene la metamorfosi che ci ha fatto iniziare: trasformare l’incertezza in rischio. Lo descrive bene un libro molto interessante, dall’acuto titolo Perché gestiamo male i nostri risparmi [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][Paolo Legrenzi, Perché gestiamo male i nostri risparmi, Il Mulino, 2013, p. 37] , dove l’autore, citando North, chiarisce: “…nel XV secolo, lo sviluppo dell’assicurazione marittima, che comportava la raccolta e il confronto d’informazioni circa le navi, i loro carichi, le loro destinazioni, i tempi di viaggio, i naufragi, e i relativi risarcimenti, ha trasformato l’incertezza in rischio, costituendo un fattore decisivo per la crescita del commercio europeo nella prima età moderna”. Dunque questo, da diversi secoli, siamo chiamati a fare quotidianamente. Eppure oggi non basta più, o meglio si deve aggiungere qualcosa. Per leggere il presente, si deve fare un passo ulteriore, e approdare nientemeno che al premio Nobel dell’Economia 2012, assegnato a Alvin Roth, vero iniziatore del filone di ricerca che unisce psicologia ed economia. Come ha dimostrato Roth, è impossibile comprendere il funzionamento micro o macro dell’economia se non si tiene conto di quali e quante proiezioni emotive si attivano quando siamo di fronte a scelte in apparenza “fredde”, razionali. E tra queste proiezioni c’è anche la soluzione di investire di un significato immaginario e globale elementi che sono nati invece in sfere più concrete, come le polizze assicurative.


I rischi
Quando il trasferimento di valore emotivo su un elemento pratico è fortissimo, si apre una rosa nuova di rischi per noi. Dagli esempi più strampalati di chi domanda di mettersi al sicuro da eventi imponderabili (come l’arrivo degli UFO…), a quelli, frequentissimi, di chi corre nelle agenzie assicurative dopo catastrofi recenti, come terremoti e trombe d’aria, convinto di poter trovare in un contratto la soluzione al fatto stesso che gli eventi accadano, le risposte rischiano di divenire sempre insoddisfacenti. E non perché gli strumenti assicurativi siano sempre inadeguati (qualche volta, è innegabile, ritardano a cogliere i reali bisogni dei clienti), ma soprattutto perché la domanda sottesa alla richiesta di queste polizze in realtà diventa una “domanda impossibile”. In altre parole, è come se il cliente arrivasse da noi chiedendoci la garanzia che nulla possa succedere in futuro, capace di danneggiarlo. Una richiesta, questa, che investe il nostro ruolo di una presunta “onnipotenza”, affascinante quanto irreale, né giova all’immagine del settore assicurativo, che, come ogni disciplina che si ponga tra economia e società, ha bisogno di parametri misurabili, quanto più possibilmente certi e concreti. Sono certa che sia capitato (e più volte) a tutti gli agenti assicurativi, nel corso della loro carriera di fronteggiare urla e rimproveri, causati proprio non dall’inadeguatezza della copertura sottoscritta, quanto dall’investimento emotivo che su quel contratto era stato proiettato e di cui invece il contratto non può farsi carico. Episodi che, se non aiutiamo il cliente a separare emotività e rischio controllabile, sono destinati ad aumentare, in numero e intensità. A questo punto, però, in aiuto, scende in campo uno de “ferri” del nostro mestiere che io apprezzo di più: qui entra, infatti, in gioco la fiducia. Non esiste migliore antidoto per neutralizzare l’aspetto istintivo, emotivo del cliente, che permettergli di affidarsi alla competenza e alla reputazione che si è costruito, nel corso del rapporto e del tempo, l’assicuratore.


Il cerchio si chiude
Si torna così al punto d’inizio. Si torna al nostro ruolo come operatori capaci di trasformare scientificamente, con un margine di errore quanto più ridotto possibile, l’incerto in rischio tutelabile, conferendo al cliente, con la protezione contrattuale, anche una rassicurazione duplice: quella concreta e tangibile, che attiene alla sfera economica e quella, più sottile, che investe la gestione emotiva della paura. Ed è lì che si intesse un po’ anche della mitologia, appunto. Ben venga, purché non si traduca in creduloneria. Non cediamo al fascino del potere che ci viene conferito. Niente polizze contro l’attacco di draghi o vampiri globali, insomma…

 

Anna Fasoli
Socio UEA

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