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Previdenza complementare: lasciate fare a noi

Previdenza complementare: lasciate fare a noi

 

Di Anna Fasoli

Ormai è impossibile non occuparsene. Anche per chi è convinto che le cose debbano fare il proprio corso, per chi, più guardingo, attende gli sviluppi, il 1° gennaio 2013 segna una data improrogabile: il sistema pensionistico cambia a tutti gli effetti e da un orientamento prima retributivo, poi misto, si vira ora verso un contributivo pieno.

Ma che cosa significa in pratica?

Che cosa si deve fare per non trovarsi spiacevoli sorprese in futuro? Per non imbattersi in quel labirinto di domande che sfociano, se non risolte, in quel malefico: “Se ci avessi pensato prima”?

Non faremo questa sera discorsi filosofici, non prenderemo le parti dell’una o dell’altra corrente che auspica un modello piuttosto che l’altro.

Certo, un dato va chiarito subito: l’esigenza di una riforma sostanziale l’hanno data i numeri. Se nel 1995 si calcolavano 24 anziani ogni 100 persone in attività, la percentuale è cresciuta al 30,8% nel 2010. Le previsioni parlano di un 43% nel 2030, per giungere al 60% – quindi più della metà della popolazione – nel 2050.

Ci soffermeremo qui con attenzione su quali siano, a partire da questo quadro concreto, i percorsi da intraprendere per raggiungere un obiettivo preciso: creare le condizioni per mantenere il proprio stile di vita da pensionati più vicino possibile (o persino migliore) a quelli che si ha come lavoratori.

E lo sappiamo bene, non esiste terrore più grande, nel pensiero inconfessato di tutti noi, che quello di non essere in grado di conservare in futuro la propria autosufficienza economica e fisica.

Per quanto, come si dirà, esistano delle variabili non dipendenti dal singolo nel sistema – prima tra tutte quella che ha stabilito un legame tra andamento del PIL, e quindi della nostra economia nazionale, e rivalutazione delle rendite future – è comunque necessario utilizzare nella scelta un approccio quanto più possibile scientifico.

Oggi è possibile farlo, perché abbiamo degli indicatori, dei rilevatori che consentono di quantificare (con margini di errore limitato) l’impatto sulle condizioni e aspettative future di una strada preferita o di un’altra.

Insomma la scelta di uno o dell’altro strumento di previdenza complementare, come si chiama tecnicamente questo “plus” che andiamo a costruire per il futuro, non ha nulla a che fare con un lancio di dado, con una scommessa, “o la va  o la spacca”.

Le bussole per orientarsi ci sono e vanno usate. E noi siamo qui per questo.

II quadro generale

Semplificando quanto più possibile, è ora utile illustrato, a grandi linee,  il quadro normativo attuale e futuro, secondo quanto stabilito dalla c.d. Riforma Fornero.

Già ho accennato che si sta traghettando il sistema pensionistico da un modello retributivo, ad un modello contributivo.

Questo che cosa significa in pratica?

Il primo risvolto importante è che, a cominciare dal 1° gennaio 2013, l’età della pensione sarà legata all’aspettativa di vita in maniera automatica, ossia superando ogni discrezionalità dipendente dalle strategie politiche.  

Dal 1° gennaio 2013, secondo la riforma, l'aspettativa di vita aumenta di tre mesi, portando a 66 anni e 3 mesi il requisito per la pensione di vecchiaia di lavoratori dipendenti e autonomi e delle lavoratrici del pubblico impiego (62 e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato).

Previsto invece al 1° gennaio 2019 l'allineamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia per tutti.

Poiché, com’è chiaro, il passaggio da un modello pensionistico all’altro non può avvenire dall’oggi al domani, sono stati attivati degli strumenti per gestire la transazione, che si applicano pertanto a chi ha già cominciato a versare i contributi con il sistema prima in vigore e a chi scegli il prepensionamento anticipato. A questo scopo sono stati elaborati i nuovi coefficienti di trasformazione. Sono parametri che entrano in vigore dal 1° gennaio 2013 (verranno aggiornati poi nel 2016e di nuovo nel 2019) e che determinano come trasformare, appunto, il montante contribuivo, ossia l’entità dei versamenti già effettuati con il sistema contributivo, nella futura pensione.

Questi coefficienti sono concepiti per favorire di fatto chi continuerà a lavorare a lungo. In pratica i vantaggi scattano per chi va in pensione dai 66 anni in su, arrivando ad un + 16,38% se si sceglie il pensionamento ai 70 anni. Insomma è un chiaro incentivo a posticipare la pensione!

Veniamo così ad un terzo aspetto importantissimo della riforma ed è quello che lega l’andamento del PIL nazionale alla rivalutazione delle rendite future.

Che cosa significa?

In pratica, per stabilire l’ammontare della pensione pubblica di primo pilastro, il sistema contributivo utilizza la media mobile degli ultimi cinque anni del Pil come moltiplicatore dei contributi versati dal lavoratore. Ma spesso le stime sono state irrealistiche. Basti considerare che, negli ultimi dodici mesi, la ricchezza da noi prodotta si è contratta quasi del 6%. Questo come si traduce sulle pensioni nel sistema contributivo?

In pratica, se l’economia cresce bene, anche le pensioni reggono, poiché sono state calcolate su una previsione corretta. Ma se accadono crisi economiche come quella attuale o altri eventi non considerati nella previsione di crescita del PIL, ecco che alla prova dei fatti si avranno pensioni inferiori a quanto stimato.

C’è insomma una forchetta tra la migliore delle ipotesi e la peggiore quanto alla crescita del PIL, che serve come indice di rivalutazione delle pensioni, ma qualche volta l’ipotesi a tavolino peggiore è ben più rosea che quella che si verifica nella realtà. E allora si rischia di scoprire di ottenere meno soldi di quanto si pensava.

Come tutelarsi: la previdenza complementare

Se, dunque, il meccanismo è così congegnato, che cosa si può fare per garantirsi una copertura adeguata alle proprie esigenze?

La risposta è: creando una previdenza complementare.

Le strade che noi ci sentiamo di consigliare ai clienti sono in particolare due:

-quella di un piano individuale pensionistico (PIP)

-oppure prediligere un fondo pensione aperto (FPA)

Adesso li vedremo nello specifico. Si tratta di due sistemi, con strutturazione differente – a gestione assicurativa il PIP, a gestione finanziaria la FPA- che però hanno alcune caratteristiche comuni:

ü  modalità di contribuzione: entrambi vengono alimentati sia con contributo individuale, deciso di concerto con il consulente, che con TFR,  con contributo del datore di lavoro (se c’è accordo collettivo)

ü  deducibilità fiscale immediata e per tutta la durata del contratto

ü  anticipazioni: sia PIP che FPA consentono di ottenere anticipazioni fino ad un massimale del 75% di quanto accumulato per acquisto e ristrutturazione prima casa, per spese mediche e fino al 30% per altre esigenze

ü  riscatto parziale o totale per determinate circostanze

ü  capitale o rendita: al termine del periodo di accumulo,si maturerà una rendita, che integrerà la pensione pubblica, oppure, in determinati casi, si otterrà subito l’intero capitale

 

PIP 

La sigla sta per PIANO INDIVIDUALE PENSIONISTICO ed è una “vecchia conoscenza” per molti dei clienti della Fasoli e Fontana. Si tratta di una forma pensionistica individuale a gestione assicurativa, che garantisce agli iscritti livelli maggiori di copertura pensionistica al termine dell’attività lavorativa, ma anche importanti vantaggi fiscali immediati e per tutta la durata del contratto. Si attiva attraverso la sottoscrizione di un contratto di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale.

I vantaggi:

ü  Sicurezza: i premi versati confluiscono in una gestione separata (MILASS PENSIONE), quindi hanno struttura e identità che non viene intaccata dalle vicende della Compagnia

ü  Flessibilità: si può decidere di sospendere il versamento del premio e riprendere successivamente la contribuzione SENZA PENALIZZAZIONI; chi aderisce può scegliere di variare  l’importo dei premi o di integrare il piano con versamenti aggiunti

ü  Certezza del rendimento: il tasso minimo di rivalutazione annua è del 2%, indipendentemente dai risultati conseguiti dalla gestione separata.

ü  Risultati annui consolidati: quanto raggiunto annualmente resta definitivamente acquisito.

 

A chi è adatto: a chi vuole certezza del rendimento, senza alcun rischio.

FPA 

A differenza del PIP, il Fondo Pensione Aperto (appunto FPA) è uno strumento di previdenza complementare a gestione finanziaria. Questo significa che una società, una banca o una compagnia di assicurazione istituisce un fondo, appunto, a cui viene conferito un portafoglio di valori mobiliari, il cui andamento garantisce la solidità del fondo. I comparti in cui il fondo è suddiviso, cioè le diverse aree con cui chi lo gestisce differenzia gli investimenti, per avere la garanzia di un buon andamento, sono di fatto il motore finanziario del fondo. Questo per quello che riguarda il funzionamento finanziario, cioè come si mantiene e si incrementa il capitale affidato.

Per quanto riguarda chi lo sottoscrive, i margini di guadagno sono evidentemente più ampi rispetto ad un PIP, ma allo stesso modo ci si espone di più alle variazioni di mercato, con oscillazioni possibili del valore della quota e delle prestazioni.

 

PIP vs FPA: Confronto tra i due strumenti

Termino dunque con un breve confronto tra i due strumenti, per sottolineare che la differenza pratica fondamentale riguarda l’entità di rischio che siete disposti a correre. Più rischio, maggiore è la prospettiva di crescita nel medio-lungo periodo. Se siete orientati verso questo, meglio il FPA.

Se invece il rischio non fa parte delle vostre corde, è il PIP la soluzione ideale.

Credo, così, di avere illustrato ad ampio raggio che cosa poter fare, le strade da seguire per quell’obiettivo centrale: mantenere la propria autosufficienza economica anche in futuro.

 

Grazie!

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