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Se è la cultura a far quadrare i conti

Se è la cultura a far quadrare i conti

Se è la cultura a far quadrare i conti

• di Anna Fasoli

A volte fatico a comprenderli, i matematici. La perfezione dei numeri, l’esattezza delle forme che dovrebbero incantarci per raccontare un’armonia umana e celeste stentano a conquistarmi. Eppure mai come in questo momento contano. E contano perché eseguono una radiografia accurata non solo del presente, ma inducono a previsioni sul futuro. Allora quei piccoli segni, immobili e implacabili nelle loro caselle ben ordinate dentro programmi di computer che hanno nomi rassicuranti, nell’asettico sistema delle loro coordinate, oggi ci raccontano di qualcosa che ancora ci lascia insoddisfatti.
Che si scorrano quelli pubblici, quelli privati, che si faccia il punto su quelli del trimestre, semestre o una fotografia annuale, la percezione resta la stessa: c’è molto, molto da fare.
Da fare per un’Italia che lavora, e lavora duro, ma non si sente tranquilla. Da fare per un comparto, quello assicurativo, che ha riproposto, in scala nemmeno troppo ridotta, la legge di natura più antica e impietosa: vive chi non ha bisogno di…sopravvivere. E allora la “guerra” è aperta. Compagnie, agenzie, ora banche, poste, persino gruppi prima dedicati ad altri comparti di core business partecipano alla “grande arena”. L’obiettivo, il medesimo: far quadrare i conti, convincendo l’utente, cliente, referente, che la strada è quella. La migliore.
Si spendono importanti energie per questa attività che viene però spostata, nel nostro paese, soprattutto sul piano dell’abilità espressiva, della trovata pubblicitaria accattivante, dello slogan “giusto”, del testimonial d’eccezione.
Ma così si sfiora soltanto il territorio, lo si costeggia, così i conti non quadrano. O non come dovrebbero. A segnare che uno scarto c’è, eccome, uno scarto di impianto. Perché le tecniche utilizzate sono quelle della promozione, accattivante e sinuosa, dei prodotti commerciali. A cui le polizze somigliano, ma solo di lontano.

La scelta è ora sul come
Si entra nell’etica, penserete, nel fair play, nella deontologia. In realtà non c’è scorrettezza evidente in chi utilizza un jingle indelebile per la mente, una gag spiritosa, un gioco ad effetto. Le compagnie lo fanno, le agenzie lo fanno per imprimere il loro nome nella mente del cliente. Quello che manca e di cui abbiamo bisogno è il passo ulteriore.
Se, in altre parole, il messaggio serve come invito ad entrare, a chiedere, a contattare, la fase successiva è quella di “servire il pasto”, ossia saper offrire al cliente ciò di cui ha davvero bisogno. Un’azione, questa, che chiede profonda competenza, certo, attenzione al singolo, alla sua storia, al luogo, ambiente, condizioni in cui si muove, ma anche, per noi, degli strumenti ben congeniati.
Le compagnie si stanno dando da fare. Le compagnie innovano, “producono prodotti”, fanno il restyling, mutano i nomi. Ma, di tutto questo, al cliente, al consumatore finale che cosa davvero arriva? Di più: che cosa spinge il cliente a conoscere la vera strutturazione del prodotto se non il prezzo? Che continua ad essere la prima cosa che appare. Dunque la prima cosa che si chiede.
Ma non basta. Anzi, talvolta diventa persino fuorviante. Il problema si attesa sul dilemma: “prendo o non prendo”.
In realtà, a mio avviso, siamo arrivati ad un punto della storia – economica, civile, sociale- in cui non si ha davvero questa scelta. Nel senso che oggi proteggersi attraverso forme assicurative è necessario.
Non è più se sì o se no, il tema forte oggi è: come.
Parliamo dell’auto, certo, con una obbligo cogente anche in Italia da lustri, e una stima di 3 milioni e mezzo di veicoli scoperto (tre-milioni-e-mezzo…).
Parliamo di case. Dove la polizza non è obbligatoria nemmeno per il condominio. Parliamo di aziende, di imprese e , conseguentemente, di fenomeni elettrici, di perdite d’acqua, parliamo di catastrofali, terremoti, inondazioni.
Parliamo dunque della cronaca degli ultimi anni.
Eppure ancora il cittadino si chiede se debba o meno tutelarsi. E, quando decide di farlo, poiché di obblighi o almeno incentivi verso questa strada la nostra legislazione non ne prevede, si deve inevitabilmente confrontare con veti, lungaggini, sovente rifiuti da parte delle compagnie. Comprensibili, niente da dire. Perché fino a quando la legge dei grandi numeri non scatta, dunque fino a quando non si ha la certezza di raggiungere un elevato numero di contratti siglati, è chiaro che la protezione diventa, assicurativamente parlando, diseconomica.

Assopigliatutto: la cultura
Lo hanno capito bene, benissimo, i francesi. Verrebbe da dire, sebbene sembri un luogo comune (irresistibile, ammettiamolo!), che ce lo hanno persino nel DNA. Lo hanno capito nel momento stesso in cui i cittadini, identificandosi profondamente con la res-publica, appunto la cos pubblica, stimolano leggi che impongano l’obbligo di proteggere sé, i beni, i danni che da questi beni possano derivare. Cosicché, qualora sinistri si verifichino, siano gli “addetti ai lavori” ad occuparsene e a farlo parlando con pari grado, ovvero con altri addetti ai lavori di altrettanta competenza.
Insomma se tutti sono assicurati, diventa chiaro che il dialogo e gli accertamenti, a livello tecnico ma anche patrimoniale, avvengono ad un livello di cultura (assicurativa) omogeneo. Ci si affida al sistema. Che, infatti, funziona e lo fa bene.
Ecco dunque che diffondere cultura assicurativa significa anche produrre competenza assicurativa. Si innesta, insomma, un circolo virtuoso che spinge da una parte chi si occupa di polizze a renderle sempre più vicine al bisogno concreto del cliente. Dall’altro, investendo l’assicurato della certezza che una polizza la deve sottoscrivere (perché previsto per legge), ecco che lo stimola in un comportamento di tutela che viene indotto, sì, dall’esistenza di un obbligo, ma che, nell’esperienza concreta, estenderà quella medesima visione, quella medesima ricerca della tranquillità anche in settori che esulano dall’obbligo strettamente inteso.
Un po’ come quello che sta accadendo in Italia con la garanzia accessoria Tutela Legale o con il gps di sicurezza nelle auto. Non si tratta naturalmente di elementi obbligatori, ma di un plus auspicato, ambito, cui si approda perché già si è entrati in agenzia a causa dell’obbligo di RC.
Allora l’elemento differenziale, il vero asso nella manica, è proprio la cultura – in questo caso della tutela, della protezione- dunque cultura assicurativa, che implementa a propria volta la tutela. Garantendo un effetto positivo per il singolo, certo, ma per l’intero sistema. Economicamente, ma anche socialmente.

L’azione coordinata
E ritorno così a un tema a me molto caro, quello del ruolo propulsivo che svolge il nostro settore. Un ruolo che può essere efficace solo e in quanto, però, si crei un’interfaccia costante anche a livello normativo. Parlo insomma di triangolazione, ovvero di responsabilità. Ma una responsabilità che ha un sapore buono, costruttivo. Sottratta alle logiche lobbistiche, dell’interesse come cifra percentuale. Una responsabilità che affonda a piene mani nella conoscenza, nella voglia di far sapere, di informare sui metodi e soluzioni.
Una responsabilità da cui germina persino la più straordinaria di tutte le qualità quando applicata al reale, ossia la creatività.
Se, infatti, il dialogo tra compagnia e governi è attivo, se il cittadino si sente rappresentato da questo dialogo, diventa chiaro che anche un obbligo assicurativo previsto per legge non appare più un gesto coattivo, una ennesima forma indiretta di tassazione, peggio di “favore” verso i sistemi di potere e forza.
Quando la triangolazione avviene e lo fa in maniera intelligente, ossia con taglio di concreta attenzione alle problematiche della gente, non si fronteggiano ostacoli, o comunque sono ostacoli minori.
Il grande risultato lo si vede da una cartina di tornasole: quello della creatività, figlia sempre della cultura. E dunque una creatività commerciale (che invidio ai nostri competitor francesi…)che non si ferma alla bella frase, allo slogan efficace. Si spinge invece nella costruzione di prodotti “belli”, perché facili, di immediata comprensione, di grande duttilità, e che arrivano al cliente pronti per essere scelti. Senza troppe indagini, senza un carico sovrumano di carte, di domande rivolte alla compagnia per inserire modificazioni, e attese lunghe, perché le attese per il cliente sono, giustamente, sempre troppo lunghe.
Una creatività estremamente intelligente, insomma, che è nata, nessuno lo nega, dalle abilità dei francesi, ma che è stata innescata, solleticata, sobillata dalla norma di legge che, per la gente stessa, ha stabilito di “spalmare” il rischio di eventi ormai non più tanto remoti su tutti coloro che possiedono un auto, una casa. Così garantendo costi accessibili e tranquillità a tutti.
Davvero non male. Soprattutto pensando a quanti altri ambiti si prestino a simili formule: dalla sanità, alla previdenza integrativa. Una bella sfida. E anche noi vogliamo partecipare!
Anna Fasoli

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