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Il gigante con i piedi di argilla

Il gigante con i piedi di argilla

Parlare di assicurazioni è parlare di fiducia e affidamento di persone, una fiducia e un affidamento che accordano a noi agenti e che noi riversiamo sulla Mandante, secondo quella necessaria triangolazione che è il nucleo stesso della professionalità del nostro mestiere. E questa professionalità, questo nucleo concreto, riguarda persone. Persone che dietro alle cifre rischiano di sparire. 

Riportiamo l’articolo di Anna Fasoli sul caso Unipol – Fonsai, pubblicato sulla rivista Attualità nel mese di novembre 2012 e precedentemente inviato a tutti i soci UEA nella newsletter di giugno 2012. Su tale tema Anna Fasoli è stata intervistata in diretta su Radio24 da Debora Rosciani il 21 giugno 2012.

Il gigante con i piedi di argilla

Il caso Unipol-Fonsai: se la leggenda rischia di entrare nella cronaca assicurativa

Bisognerebbe cominciare dall’inizio. Ma qui si apre la prima questione delicatissima: quale è l’inizio?

Prediamo come data di cronaca il 16 gennaio 2012, quando i quotidiani a stampa e web fanno rimbalzare a titoli cubitali la (prima) bocciatura in borsa della fusione Unipol Fonsai, con il 5% di perdite del titolo? O meglio il 17 gennaio quando i piccoli azionisti, cavalcando l’onda telematica dei social network, fanno sentire la loro voce e urlano che non ci stanno a pagare di tasca propria il salvataggio di Ligresti?

Difficile scegliere, perché i giochi, nelle alte sfere della finanza, sembrano dimenticare la nostra, di vita, quotidiana, la vita degli agenti Milano, come me, che della faccenda colgono appena rumors ma nulla di ufficiale, in un fuoco incrociato di affermazioni e smentite.

Non c’è giorno che non se ne parli con un botta e risposta tra Premafin, Unipol, e, per fortuna, l’ISVAP, che dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nel mantenere una logica di tutela dell’universo assicurativo, a prescindere dalle mosse di alta finanza, che montano e smontano le aziende come fossero tasselli di un Lego globale, dimenticando che non tutte le “merci” sono identiche.

Parlare di assicurazioni è parlare di fiducia e affidamento di persone, una fiducia e un affidamento che accordano a noi agenti e che noi riversiamo sulla Mandante, secondo quella necessaria triangolazione che è il nucleo stesso della professionalità del nostro mestiere. E questa professionalità, questo nucleo concreto, riguarda persone. Persone che dietro alle cifre rischiano di sparire.

Insomma benvenuti nel caso Unipol- Fonsai, benvenuti in una strana commedia all’italiana, dove le strategie del gruppo sembrano appartenere a un altro universo.

Quelle strategie, invece, ci toccano da vicino.

Niente di nuovo sotto il sole

Il caso Unipol-FonSainon è certamente isolato. Si tratta del più recente, in termini di cronaca, ma rispecchia una modalità consueta, che attraversa con grande frequenza i grandi gruppi, a sottolineare che la difficoltà di un dialogo diretto, la mancanza di trasparenza con la base, si sono ormai sclerotizzati come “mali cronici”, tipici di questa relazione.

Eppure, dagli inizi, da quando nel lontano 1667 Nicola Barbon aprì a Londra un ufficio di assicurazioni “contro i danni causati da incendio di stabili e fabbricati”, già era chiaro che il contratto di assicurazione si fondava sulla relazione. Una relazione di fiducia, tra chi lo sottoscriveva, per sollevare da sé un rischio, e soprattutto la paura che quel rischio si verificasse, e l’assicuratore che di quel rischio si faceva carico. Dando la propria parola, la propria firma come impegno.

Dunque il premio che viene versato è davvero, nel suo significato profondo, quello che la definizione etimologica dice.

Premium, dal latino prae-imium: composto da prae, innanzi, eimium,prendere, togliere. Indicava, in origine, la cosa prelevata dalla preda di guerra e data al vincitore.

C’era una guerra, di mezzo, una battaglia, in cui era necessario combattere con tutta la propria sapienza e il proprio valore, salvando non solo un bene concreto, la vita, ma anche l’onore.Le parole, nelle situazioni di confusione, servono da bussole, da lampade di indicazione. E allora il mio invito è di tornare al senso pregnante delle parole del nostro mestiere.

Una testa, un cuore

Narra la leggenda che un mago praghese, nel XVI secolo, cominciò a creare Golem (il nome deriva dalla parola ebraica gelem, che significa materia grezza), giganti plasmati dall’argilla, per servirsene come schiavi. Sulla loro fronte incideva la parola verità. Una di queste creature sfuggì però al controllo del mago e cominciò a distruggere tutto ciò che trovava. È una metafora che calza bene, nel mondo assicurativo, a descrivere come talora la certezza di possedere la verità rischi di diventare distruzione.

Noi agenti oggi abbiamo bisogno di concretezza. Abbiamo bisogno di “normalità” e con questo termine indico il lavoro a quattro mani, tra Mandante e agenzie, per lavorare al meglio, nel settore che ci compete. Lavorare nell’interesse del cliente.

Siamo noi il punto di riferimento, noi la “membrana” permeabile che raccoglie l’esigenza pratica, le problematiche concrete dei singoli e le riconduciamo ad un contenitore più ampio, un prodotto ideato dalla Mandante.

Ma come si può svolgere con la massima professionalità questo compito se manca dialogo tra rete e Compagnia? Come?, se a noi agenti viene spesso omessa ogni reale comunicazione su quale sia la “testa” della grande macchina che si è messa in movimento?

Oggi, poi, questa testa sembra scaturire da un “ibrido”, una fusione che appare focalizzata non tanto al contenuto assicurativo, quanto alle logiche strette dell’alta finanza. Intanto la rete agenti soffre in maniera importante dell’assenza di un collegamento costante con la mente. Abbiamo bisogno di un motore organizzativo che sovrintenda a tutta una serie di attività, tra cui quella di ideazione di prodotti nuovi, di riorganizzazione generale dei processi, di innovazione di strumenti. E questa testa deve essere legata ad ogni altra parte della struttura.

Fiducia nella gente, disagio verso il potere

Altrimenti si cade in un rischio, ed è un rischio pesante. Mi riferisco allo scollamento, nella percezione del cliente, del consumatore, della gente comune, tra braccio e testa.

Affidabile il primo, troppo interessata al profitto la seconda.

Che il braccio appaia più affidabile della la testa lo sottolinea, anche per quest’anno, l’indagine 2012 svolta dall’Edelman Trust Barometer sulla fiducia e sulla credibilità di imprese, governo, ONG e media, condotta in 25 paesi.

Due sono i punti da rilevare: il primo riguarda la predominanza di fiducia accordata alle imprese rispetto ai governi, agli stati.

È opinione consolidata nella gente che l’impresa svolga un ruolo sociale di estrema importanza, apparendo un pilastro solido e un riferimento per la comunità. Ed è questo che sono anche le nostre agenzie assicurative: specchio del territorio in cui operano, diapason delle sue evoluzioni, dei bisogni, nuovi o costante, delle crisi, e delle paure anche.

Ma quello che  l’indagine dice – ed ecco il secondo punto – è che la fiducia verso l’impresa raggiunge il livello massimo quando si pensa generale raggiunge la punta massima se prende in considerazione quella fascia operativa del dipendente medio, mentre cade pesantemente se prende in considerazione i chief executive officers, dunque l’area direzionale, “imputati” di pensare troppo agli interessi finanziari.

E questa distanza si proietta anche sulla differenza tra agenti e Compagnia. Come dicevo prima, tra braccia (rete) e testa.

Verso una strada condivisa

Ma la strada non è segnata a priori. La strada la possiamo scegliere noi. Noi agenti di concerto con la Compagnia, purché la Compagnia sappia proporsi come testa di un organismo più ampio, non come verità di Golem.

Qui ci giochiamo il nostro ruolo futuro, ma anche la nostra storia. Ed è una partita da disputare a più mani: quelle della base, cioè le agenzie, e quella della mandante. La possiamo vincere (che significa far vincere la società in cui operiamo) soltanto se esiste un reciproco rispetto. Cominciando dalle informazioni. Senza dover attendere di sapere dove andiamo dai titoli di un quotidiano.

Anna Fasoli
Socio UEA

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