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Se qualche volta il mio lavoro somiglia a quello di un’interprete

Se qualche volta il mio lavoro somiglia a quello di un’interprete

Mi trovo da qualche tempo molto impegnata nella definizione di una convenzione assicurativa a favore di una categoria particolare di professionisti, il cui lavoro è particolarmente strategico e complesso, sorta di mix ben congeniato tra creatività e tecnicità, in un settore che si sta affermando sempre più come eccellenza italiana. Credo molto nello strumento assicurativo fornito a questo settore, per la funzione di protezione in senso stretto che garantisce, ma anche per l’impulso propulsivo che muoversi garantiti può immettere nel contesto economico e professionale. Ebbene, posso dire di avere “sposato” questa prospettiva, tanto da averla fatta mia. Mia significa che ho trascorso numerose ore e giornate “filando” con quanta più attenzione e competenza possibile la trama solida per una base di incontro tra le esigenze dei professionisti e quella della Compagnia. Una trama che non è affatto così automatica come si potrebbe credere, poiché le istante che vengono a incontrarsi e scontrarsi sono spesso il frutto di punti di vista molto distanti. Chi chiede garanzie sa da che cosa vuole protetto, ma lo sa in forma concreta, ovvero di esempi, di casi accaduti a qualcuno che si conosce, o di eventi riportati dai giornali. Chi chiede garanzie di fatto domanda una (r)assicurazione sul fatto che, qualunque cosa accada, tutto andrà bene. Insomma, seppur mediata dalla concretezza, la richiesta è profondamente empatica, emotiva. Per parte sua, invece, la Compagnia applica criteri vagliati razionalmente, secondo protocolli elaborati sulla scorta di statistiche, bilanciando una serie di fattori che forse un algoritmo può ben comprendere, ma assai meno un portavoce di associazione professionale, che dietro ai numeri di tessera vede le singole esistenze e i nomi, le storie di ogni aderente. E io, come professionista, agente sul territorio, mi trovo in mezzo. Mi trovo in mezzo come accade ai mediatori culturali, agli interpreti, ai diplomatici anche. Mi trovo appunto a mitigare le incomprensioni, ad accentuare i punti di contatto, a tradurre le richieste degli uni in possibili risposte dell’altra.Complesso. Ostico talvolta. Estenuante. E meraviglioso. Meraviglioso quando il punto d’approdo arriva e per un istante si tira il fiato. Consapevoli che da un porto si riparte sempre. Verso un altro.

 

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