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Dalla parte degli allevatori (americani). E gli italiani?

Dalla parte degli allevatori (americani). E gli italiani?

La settimana scorsa si è mosso anche Barack Obama. E lo ha fatto con un gesto concreto quanto significativo: 170 milioni di dollari destinati dall’amministrazione statunitense per acquistare polli, agnelli e maiali. Una mossa che va a favore degli allevatori, colpiti in maniera devastante dall’ondata di siccità di quest’estate. Uno shock climatico che rischia di mettere in ginocchio uno dei settori cardine dell’economia. Non solo americana.

Intanto la forte crisi acuisce la già delicata questione del testa-a-testa tra combustibile e cibo. A seguito del danneggiamento dei raccolti, infatti, le scorte al minimo, i prezzi che si impennano, il rischio è che il mais venga destinato alla produzione di etanolo, a scapito della filiera dell’agroalimentare. Soprattutto considerando che dal 2007, negli States è stato introdotto l’obbligo di miscelare etanolo e benzina, di fato “deviando” un terzo della produzione di mais ai biocombustibili. Avrà effetto la richiesta di sospendere questo obbligo almeno per un anno?

 

E in Italia?

Il commento di Anna Fasoli

Nemmeno l’Italia esce indenne da questa che è stata giudicata una delle estati più secche degli ultimi cinquant’anni. L’autunno si annuncia molto “scottante” sul tavolo delle contrattazioni sociali e politiche. Confindustria ha domandato un miliardo per le imprese. Per parte sua Coldiretti insiste perché l’agricoltura e il settore dell’agroalimentare tutto tornino a fare da locomotiva per l’uscita dalla crisi.

Intanto gli allevatori devono confrontarsi con dati inquietanti: già a luglio mais, soia e frumento conoscevano al Cbot, come a Euronext prezzi da primato. Un segnale che ha messo in stand-by molti grandi importatori, che hanno scelto di rinviare gli acquisti. Ma le cose ad agosto non sono migliorate, anzi.

Distrutto il 40% di mais e soia, dimezzata quella della barbabietola da zucchero, problemi per uliveti e vigneti, aumento del 30% del prezzo del gasolio per l’impennarsi dell’uso degli impianti di irrigazioni. Animali stressati dal caldo, con diminuzione della produzione giornaliera di latte dal 10 al 20%.

Il settore zootecnico è stremato per l’aumento del costo dei mangimi, a causa della siccità. Se infatti lo Stivale è (quasi) autosufficiente per il mais, lo stesso non va detto per la soia. E sono costi che gravano sulle aziende agricole, in larga parte, soprattutto nell’allevamento, strutturate come soccida, e quindi con un sistema economico che premia il lavoro reale, concreto, che di quel lavoro fa il vero “capitale”, la forza produttiva.

In Veneto, il territorio di massima prossimità per la mia agenzia, si rileva che risultano oltre 350 mila gli ettari compromessi, con perdite che oscillano dal 20 all’80%, e punte che raggiungono  il 100% dove le zone non sono irrigate (Bassa Padania). Insomma è il caldo il vero incubo. Il caldo o il gelo: l’eccesso climatico, che strema il sistema e fa lievitare i costi. A livelli insostenibili. Si salvano, singolarmente, solo coloro che hanno sottoscritto polizze ad hoc. Un rimedio importante, e ad oggi sempre più necessario che tuttavia, nel macroscenario, non  può spostare sulle compagnie assicurative tutto il carico del problema.

Non è un caso se già durante il G20 di Rio, uno dei maggiori gruppi assicurativi mondiali, Allianz, esplicitava con chiarezza la preoccupazione per le conseguenze del cambiamento climatico all’interno di un settore, il nostro, assicurativo, che si sente ormai in prima linea, a fare da cuscinetto, sempre più, non solo al rischio, ma alla mancanza di politiche adeguate e coraggiose su questi temi, che competono invece ai governi. E da questi governi allevatori e agricoltori queste politiche le chiamano a gran voce. Per poter continuare a lavorare. A vivere.

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